C’è qualcosa di surreale, beffardo, cronicamente sbagliato nell'andamento della mia vita amorosa.
Ad esempio, questa volta, succede che un ex ragazzo di vecchia data, ma non vecchissima, ha deciso di eleggermi a sua confidente, a donna amica che possa curargli le ferite perché la nuova lei non lo vuole più -ah ma che buffo il destino- , asciugarne le lacrime, smussare l’astio e se ci scappa pure una risata, perché no.
Ho scritto risata, suvvia.
E quindi:
lui soffre per lei, anche se tu sei molto più bella e affascinante.
Ora ha capito come mi sono sentita io, quando si è conclusa la nostra relazione.
Con me si è comportato distrattamente, ma ho imparato e quindi con lei no.
Con me alla prima difficoltà ha mollato il colpo, ma da quell’esperienza ho capito che invece bisogna impegnarsi, che le cose si costruiscono.
Ammetto che il senso di profonda frustrazione è tenuto a freno dal banalissimo quanto fortuito fatto che la mia testa è altrove e con questa persona si è concluso tutto lo scibile sentimentale fino a approdare a qualcosa che definirei tenerezza affettuosa. Quindi mi sono calata perfettamente nei panni dell'amica consolatrice.
La morale rimane però che il destino non è mai proprio generosissimo con la sottoscritta e che il rischio di sentirsi protagonista di un romanzo di kafkiana memoria in cui il senso di alienazione prevale su un rapporto con il mondo -direi il mondo del genere maschile- visibilmente compromesso è tremendamente dietro l’angolo.
Ma non mi farò certo abbattere da così poco.
Piuttosto, sorrido. Potrebbe trattarsi di un primo passo verso un modo nuovo di vivermi i rapporti.
Ma sì, una sorta di catarsi, forse necessaria.
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