martedì 10 maggio 2016

Kintsugi


Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, ne valorizzano ogni singola crepa attraverso un tecnica che prende il nome di “Kintsugi“. Questa tecnica consiste nel rinsaldare oggetti come il vasellame con materiali preziosi, utilizzando una resina mista a oro, argento o platino.
E il risultato è meraviglioso.
Il vaso riparato con queste preziose venature-risultato dell’unione dei pezzi frantumati- rappresenta la vita ed i cambiamenti che essa porta con sé. La vita in effetti non è mai lineare ma anzi presenta sempre delle spaccature, delle scissioni, delle difficoltà che ci portano a compiere nuove scelte e ad intraprendere nuovi percorsi. Il vaso è fiero di mostrare i segni di ciò che ha superato con fatica. Ciò che non è arrivato quando lo si voleva, ciò che si è perso e poi ritrovato.
Per i giapponesi un vaso rotto sarà più bello di prima, perché saprà di vissuto, proprio come un legame spezzato e rinsaldato con più forza.
Nella cultura orientale le cicatrici restituiscono valore all’oggetto, lo rendono unico.
In Occidente una cosa o è intatta o è rotta. E se è rotta o è possibile ripararla come se non fosse mai successo nulla oppure non vale la pena tenerla. Meglio una nuova.
Ma tra integrità e rottura c’è la ricomposizione, c’è l’idea che dall’imperfezione possa nascere una forma maggiore di perfezione, estetica e interiore.
Diei che a questo punto non c'era espressione migliore del tuo arrivo, piccolo Victor, per illuminare la nostra famiglia della tua luce dorata (e rendermi così zia!).
Benvenuto nipotino mio.



martedì 26 aprile 2016

La Libertà

Ci sono stati anni in cui la sera si andava alla Casa139, qua nella Big. Anni felici, a tratti tormentati, spezzati. E la Casa era un rifugio. Una sicurezza. Biliardino fino alle 4 del mattino, giardinetto interno, musica indie per ballare fino a tardi, tutto lì, tutto accessibile, ben distribuito. In ogni stanza c'era qualcosa da scoprire. A volte ci si andava anche solo perché era un modo per finire la serata, scambiare due chiacchiere con i soliti avventori, ritrovarsi.
Poi un bel giorno, hanno deciso di chiuderla, la Casa. E non nascondo che è stata una botta. Un po' come quando nella Ridente hanno chiuso il Duca Bianco. O la Polo. Maledetti. 
Quando è stato il turno della Casa ho rivissuto un po' quelle sensazioni lì'. Ho iniziato a frequentarla da adulta e non da ragazzina come i locali nella Ridente, ma mi ci ero affezionata. Era un punto di riferimento in una città in cui le coordinate te le devi un po' costruire.
Di cose belle la Casa ce ne ha restituite tante. Una su tutte pochi giorni prima di chiudere definitivamente. Come a lanciarci un messaggio. Ha voluto lasciare il segno, la nostra Casa. Ha permesso alla mia meravigliosa amica di riconoscere una luce, in un momento buio. Le ha messo sul piatto di argento la possibilità di abbracciare la Libertà, libertà da condizionamenti, sofferenze, storie finite, e lacci da slegare. Proprio lì, tra le sue stanze. (Poi io le ho anche fatto mettere i tacchi, quando mi ha pregata di tornare sul luogo del delitto  per farmi vedere quel ragazzo incontrato lì la settimana prima. Oh, mi ha odiata, ma, libertà o no, il tacco aiuta).
E quindi chisseneimporta se dopo poco il locale ha chiuso, loro se lo sono portati dentro e hanno costruito la loro "casa", la loro storia, piano piano, senza fretta e con cura.
E non mi pare strano a questo punto che, proprio nel giorno più simbolico che c'è, a celebrare quella libertà sia arrivato tu, Filippo. Benvenuto nella tua nuova Casa, piccolo tesoro prezioso, buona libertà anche a te.

mercoledì 30 marzo 2016

Maternity Leave

Ho letto di tutto in questo lungo lunghissimo periodo di pausa, dalla Big alla Ridente senza distinzioni. E a tutte queste suffragette neo mamme che si sperticano urlando sui social "le mamme sul lavoro devono avere le stesse oppotunità dei papà", e a quelle eccitate che ai 3 mesi del bambino fanno i salti di gioia per l'imminente ritorno al lavoro, dico una sola cosa: ma a voi che avete partorito da poco, non viene un po', ma dico un po' di voglia di stare con vostro figlio e godervelo senza immediatamente pensare che sia una cosa da sfigata casalinga anni '50? Senza arrivare alla scontata associazione fare la mamma uguale cucire calzini? Non vi viene in mente che l'accudimento, il seguire un figlio, l'esserci facciano parte del ruolo di mamma-sì anche stancarsi-? no, perché a me terrorizza questo sbracciarsi tanto dopo aver appena messo al mondo una creatura (si presuppone scientemente). Tutto questo sgolarsi non potreste incanalarlo nel pretendere più diritti? Alcune lo fanno, certo, ma tante -troppe- no.
Ora, sia chiaro che se avete voglia di ricoprire un ruolo come che ne so il sindaco di Roma o diventare CEO di una grande banca o il super capo dei Puffi lo potete fare, è pieno di donne che hanno fatto sia figli che carriera. E anche di uomini. Ma forse vi sfugge - o direi che non sfugge, anzi- che immancabilmente una di queste due scelte verrà per forza sacrificata. E' così. E vale anche per gli uomini, care mammine incazzate. Perché un uomo che fa carriere intesa come la intendete voi, cioè scalata al successo con poltrona in pelle dis-umana, fa un altro tipo di rinuncia che cade sulla famiglia, dovrà sacrificare gran parte del tempo. Si può fare il sindaco della seconda città più malmessa e corrotta d'Italia standosene comodamente sul divano di casa e accudire un neonato? No, direi di no. Ma non è mica discriminazione ragazze. E' realtà. E' meglio che il sindaco di Roma allora sia un uomo neo papà? Vale anche per lui, dovrà rinunciare e non poco al suo bambino. Il non trascurabile dettaglio che non volete accettare, è che la figura materna all'inizio ha un peso certamente più rilevante.

Un altro tema è che lo Stato e la società tutta abbiano il dovere di dare maggior supporto al mondo baby sia per le mamme che per i papà; gli asili costano troppo, le babysitter anche. Ci vorrebbe più flessibilità da parte delle aziende e non si dovrebbe guardare storto una donna che decide di diventare anche mamma. O un papà che desidera la paternità (non un giorno come in Italia ma magari un mese come in Spagna o più mesi come nei paesi nordici). Andrebbero premiate le donne indipendetemente dal numero di figli, se sei brava puoi crescere professionalmente. Ma rimani brava, se già lo sei, anche se ti prendi dei permessi per accompagnare tuo figlio alla recita di fine anno e scegli di non rimanere in ufficio fino alle 21.00. Il problema è culturale, perchè è pieno di donne stronze, colleghe si intende, pronte a fare le sciacalle, mamme wonderwoman che allattano in parlamento e quelle di cui sopra che hanno la babysitter 1, la babysittre 2 e la nonna che arriva per il turno delle 20.00 mentre loro imperterrite continuano a lavorare- per dimostrare cosa?- uomini prepotenti tutti parte di un sistema che premia soprattutto la pratica del brown nosing (conoscete??) e del tempo speso in ufficio. E allora anche io mi indigno, e non poco.

Ho letto poi che in Francia il welfare è molto attento a questo tema..ad esempio caldeggiando il latte artificiale e accogliendo i bambini negli asili gia dai 3 mesi. Ok, molto bene per quelle donne che hanno scelto di parcheggiare il fardello. Ma a me questo non pare welfare. A me questo pare che il fare figli stia diventato per la maggior parte delle donne una cosa da inserire in to do list, perchè a una certa età è così. Poi che dopo pochissimi mesi l'esserino venga subappaltato chisseneimporta. Lo scrive anche la signorina Guia Soncini in un recente articolo: fare figli è una cosa normale, e per certe incombenze tipo recite, sport o altro ci sono le ragazze alla pari. Molto bene, dunque possiamo stabilire che essere mamma è solo una fattore biolgico? non è così, o almeno non dovrebbe esserlo.
Capisco anche bene che sia altrettanto esasperante il mondo mamme che parla solo di figli, allatamento, co-sleeping, vaccini, malattie, asili, in loop 24 ore su 24 -anche io fuggo da quelle- ma tra questo e la brutalità che racconta la Soncini ci son tante sfumature, tante donne normali che scelgono di fare una famiglia e portarla avanti. Che vorrebbero rientrare al lavoro senza essere discriminate ma non per forza urlarlo ai quattro venti con desiderio massimo di crescere e avere un ruolo, perché quello di mamma è proprio da sfigata.

Io sono stata molto fortunata, perchè ho potuto scegliere di stare a casa senza avere particolari necessità -economiche e aziendali- e ho  ripreso a lavorare licenziandomi di là e iniziando di qua, perchè c'è un momento in cui non solo bisogna prendere uno stipendio ma staccare e fare "refresh" aiuta a relativizzare i piccoli grandi problemi del nostro nuovo ruolo. Ma non l'ho fatto alla leggera, non l ho fatto dopo poco tempo, e l'ho fatto con il cuore a pezzetti. Mi manca da morire stare con mio figlio, vedere i suoi progressi quotidiani, stare a casa con lui e godermi una vita piena di mie cose. A tutti quelli che mi hanno chiesto se non mi fossi rotta le balle dopo cosi tanto tempo o se finalmente non avessi voglia di interagire con essere umani adulti (tante e tanti me lo hanno chiesto) rispondo che no, non mi sono rotta le balle, mi sono divertita e stancata tantissimo, ho gioito e pianto, ho stretto un legame con mio figlio e continuerò a farlo perchè a me pesa molto di più dedicarmici solo due ore la sera che starci tutto il giorno. Abbiamo viaggiato attraversando il Giappone, ci siamo spiaggiati nella nostra Bonassola, scalato con passeggino e zaino i monti del Trentino, preso aerei per andare in giro in Europa, mi sono dedicata alla mia passione detta anche piano B,  ho continuato a depilarmi e  farmi le unghie. Certo, grazie anche all'aiuto dei nonni. Ma anche del papà. Perché un papà assente e workaholic non fa una bella figura.
E segnalo che non ho smesso di parlare con esseri umani adulti durante la maternità, non ero rinchiusa in una cella di isolamento e gli amici, quelli veri, ci sono sempre stati. E' una questione di scelte, di come si vuole vivere questo momento e di quanto si ha voglia di non essere solo una mamma biologica. E' stato l'anno più bello di sempre.
E mi dispiace per gli altri (invidiosi di tutto il mondo, carrieristi, guia soncini, mammine che ai tre mesi del bambino hanno già due baby sitter).
E, pensate un po', non ho nemmeno ancora imparato a rammendare un calzino.

venerdì 20 giugno 2014

Wedding time

Se quando ho scritto qua http://vintazvintaz.blogspot.it/2012/07/al-mio-tre-tutti-sposati.html sembrava che tutti si sposassero, ora pare un'epidemia.
Avere più di due matrimoni in un anno dovrebbe essere vietato per legge, ma tant'è io ne ho nove e mi rassegno. Considerando però che ce n'è più d'uno a cui tengo in modo particolare, l'idea di pensare ad outfit, capelli, trucco, finti sorrisi si prospetta intrigante e non faticosa.
Ora, la grande novità è che non mi presento più da single. Quindi posso piantarla di lamentarmi del fatto di essere la numero dispari al tavolo, e di ribadire che ai matrimoni non si tromba: è una grande balla costruita per alleviare alle single donzelle il peso e la noia di essere circondate da coppie, futuro e progetti. Rigorosamente altrui.
Però, posso dirvi che il mio attento occhio ha notato alcune bestialità che andrebbero severamente punite.
Come l'assasino è sempre il maggiordomo (era sempre, ora perlopiù sono mariti, exfidanzati e uomini di dubbia integrità) così il grande giorno, fateci caso, tra gli invitati fa capolino lei: l'amica di bianco vestita.
...
Sì, total white.
Non un dettaglio, non una stola, non un pezzetto di abito multicolor tra cui anche il bianco. No, proprio tutto bianco. La palette colore esplorata è ampia, e per quel che mi riguarda, le varianti sono tutte fuorilegge: dal bianco sporco, al bianco ghiaccio, al bianco avorio, al crema talmente chiaro che è bianco, non è giallino è bianco (!) sono da non indossare. Ragazze, il mondo è pieno di colori, e il bianco, oltretutto, è uno di quelli che poche si possono permettere. Quindi, non venitemi a dire che per voi è cosa ovvia avere un vestito elegante bianco nell'armadio perché vi prendo a scarpate.
A meno che non siate lei. E allora vabbè. Potrebbe essere normale.

Un altro colore da usare con molta cautela è il rosso fuoco, specie se siete delle biondone alte e tanto bionde. Rubare la scena alla sposa, non è carino, non siete sulla Croisette nè a Hollywood, state calme. Eppure, se ne vedono.
Così come il nero, ormai ampiamente accettato (non dal galateo) specie se si stratta di un matrimonio che si svolge nel tardo pomeriggio.
Va bene, meglio nero che rosso fuoco, meglio nero e rosso fuoco che bianco. Però ancora meglio azzurro, verde, giallo, rosa, blu, a fiori,  a righe vintage specie se il matrimonio si svolge in una bella mattinata di sole. Non è un funerale, non ancora.

Altra bizzarria molto di moda, ahinoi, è invitare solo gli amici/amiche e non i relativi compagni/mariti/mogli, specie quando non si organizza una cosa ristretta. Verosimilmente un trombamico non me lo porto a un matrimonio, perciò trovo non-sense creare un evento di finti single dove l'unica coppia è quella che si è appena sposata e dove le uniche a trarne forse qualche vantaggio sono le single vere: tra loro potrebbe nascondersi la gattamorta di turno, la quale non vede l'ora di approfittare della vivacità a termine di mariti e fidanzati e dare così libero sfogo alla sua torbida natura e un senso alle Laboutine tacco 12 acquistate per l'occasione. Ennò, però. Ora che sono fidanzata evitatemi questi scherzetti.

Infine, ricordate tutti, less is more. Non è necessario far sprofondare i tavoli con fiori e centrotavola che impediscono di vedere chi si ha di fronte, non è fondamentale imbastire un circo Togni tra danze, complesso che suona, discorsi banali e ripetitivi.
Amatevi e balliamo, questo basta.
E noi, piedi gonfi a parte, ringrazieremo.


martedì 10 giugno 2014

La volpe e l'uva

« Spinta dalla fame, una volpe tenta di raggiungere un grappolo d'uva, ma ogni sforzo è vano. Constatando di non poterla raggiungere, esclama: "Tanto è ancora acerba!".
Esopo ci aveva visto lungo, e io osservo e rimango basita dalla capacità altrui di rigirare la frittata, o, per dirla meglio, dall'incapacità altrui di non riuscire a superare le difficoltà, accusando così le circostanze.

Ecco, questa è una modalità che non mi appartiene.  Ed è grave, perché mi taglia fuori da tante dinamiche, opportunità (ma lo saranno veramente?) e certamente malumori. Ché chi riesce a raccontarsela sta certamente meglio.
Non che ne sia totalmente immune, di cose personali in me radicate me la racconto eccome. Ma nella mia cameretta, diciamo. Non al mondo fuori, molto spesso convincendolo pure.
Ecco una casistita di situazioni da me osservate, carpite, analizzate, vissute, che, non nascondo, mi lasciano un senso profondo di amaro misto ad ammirazione e una grande domanda: come si fa?

- LE RELAZIONI: esci da poco con uno, ti piace da impazzire. Fai una testa così alle amiche, saltellI solo al pensiero di poterti sposare con lui in una spiaggia isolata alle Hawaii e dopo un mese di frequentazione il lui di turno sparisce come houdinì. Io direi: è sparito.
Le altre dicono: non lo chiamo più perchè è uno stronzo, non risponde, si fa vivo a singhiozzi. Basta, uno così non mi merita. Lo lascio (IO lo lascio, dunque).

- IL LAVORO: succede che si possa essere "lasciati a casa". Specie con contratti a tempo, ma non solo. E quando allora ti sembra di avere trovato il lavoro della vita, e con tutto questo mondo e anche quell'altro racconti mirabolanti progetti, stipendio stellare, incontri pazzeschi, può succedere di essere bruscamente e gentilmente invitati ad andarsene. Io direi: non mi hanno confermata.
Altri dicono: non voglio più stare in quel posto, in verità il clima è pessimo, sì bello all'inizio, ma ora sono stufa di lavorare lì dentro, sono un talento sprecato.

- IL MATRIMONIO: hai già praticamente imbastito tutto, ti manca solo la giarrettiera e il parrucchiere. Hai coinvolto le amiche per capire se ispirarti a kate moss o a Carrie per la scelta dell'abito. Ma la proposta non arriva. Ecco dunque che improvvisamente questa palese idiosincrasia del fidanzato all'idea di impalmarti per sempre diventa una carrellata di: sì ma vogliamo aspettare, quest'anno si sposano tutti, e poi ripensandoci vorremmo fare una cosa tra pochi intimi, a dire il vero non sono tanto convinta di questo passo, convivere tutta la vita è la migliore soluzione.
Io direi: quel maledetto non riesco a convincerlo.

- LA RIDENTE vs LA BIG: ti proponi come super cool, una vita spericolata between Paris and London passando per New York, rifiuti e stigmatizzi la provincia, l'italia, la mentalità del paesello fin quando un bel giorno si scopre che ti sei trasferito a vivere nel paesello più paese di qualche regione italiana. Ben venga se fosse un reale scelta di cambiamento magari non condita per anni dal disprezzo delle varie ridenti nel mondo, ma in realtà hai seguito il fidanzato che lavora lì, o hai  accettato un'offerta di lavoro arrivata dalla provincia e non da Venice Beach; ma ecco, qualunque sia la vera ragione e il tuo vero stato d'animo, per gli altri, per tutti tu hai riscoperto la tua anima bio, la natura è sempre stato il tuo sogno, una nuova dimensione "a misura d'uomo".
Io direi: sono finita male, si tratta solo di un passaggio.
Altri hastaggano violentemente il codice postale della nuova residenza.

Non parlo di chi riesce a dare una svolta ottimista e positiva a disavventure e disgrazie senza crogiolarsi nel vittimismo più lagnoso.
Parlo proprio di chi con maestria e anticipando i tempi, racconta balle mascherandole da riflessioni attente, da scelte consapevoli, da circostanze inevitabili.
Non subiscono mai, non prendono mai mazzate loro, ma semmai, le danno. La loro vita è comunque sempre okkei.
Un autoinganno ben congeniato in cui i dati di fatto modificati e distorti, a volte mistificati, regalano autostima e serenità.
E così si va avanti, autoinganno dopo autoinganno.
Chissà se poi, per dirla come avrebbe detto mia nonna, i nodi verranno al pettine.

mercoledì 14 maggio 2014

Ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo.

Mi interrogavo in questi giorni su quei rapporti decisamente fasulli che vengono sbandierati a destra e manca, come a voler dare un segno tangibile di una cosa che in realtà è inconsistente.
Quelli ad esempio che passano da una storia a un'altra vivendo senza soluzione di continuità relazioni da copertina, rapporti della vita che in un attimo pouf, si sgonfiano. Uomini e donne, che vivono storie con la data di scadenza senza fermarsi un attimo pompandole così tanto fino a farci credere che sia la volta buona.
Ma come può essere credibile uno che vive relazioni fantastellari-apparentemente-, introduzione in famiglia fin da subito, una vita smeralda e coniugale insieme h24 con ognuna delle sue donne che si susseguono a un ritmo sfrenato? 
Non che l'intensità e la passione non siano ben accette, e non condanno le foto insieme, ma c'è qualcosa che stride quando è un ripetersi sempre uguale, senza sosta, così perfetto, così finto.
Poi mi sono rilassata però.

Perché a volte ci sono anche coppie diverse, quelle che in un'epoca di selfie, rumore, vanità, chiasso e precarietà sentimentale, vanno avanti per la loro strada in modo silenzioso, soffice, curato, discreto. Non c'è un cambio compulsivo di partner, non c'è un'irrefrenavbile voglia di mostrarsi.
Loro sono quasi invisibili e protagonisti di una dimensione propria, a cui hanno accesso solo loro.
Ma se li osservi capisci che ci sono stati alti e bassi, che l'amore è puro e non condizionato, che le diversità creano l'unione, che le fondamenta sono state costruite.
Senza urlare, senza dimostrare. Tanta "normalità" fa paura, perché è quanto di più alto e difficile si possa raggiungere. Perché è speciale veramente.
Si legge in Anna Karenina che Le famiglie felici si assomigliano tutte, perché, io credo, pur ognuna con le proprie peculiarità, hanno trovato l'equilibrio tanto disperatamente rincorso da chi non si dà pace.
Per questo spero un giorno di assomigliare a una nuova famiglia felice a me così cara,  che ieri, in una ridente vicina alla Big, ha preso una forma meravigliosa dal nome bellissimo: Olivia.
Benvenuta piccola ballerina.

lunedì 28 aprile 2014

Come la rucola tra i denti.

Gli accenti sono importanti. Nella lingua come nella vita. Metafora di attenzione, cura, correttezza, non se ne sentono nè trovano quasi più. Che se si pronuncia èdile invece di edìle non è una cosa da poco: la nostra lingua è meravigliosa, articolata, piena di sinonimi e parole puntuali, che vogliono dire esattamente questo e non quell'altro. Un saggio mi disse che l'arido love inglese va bene un po' per tutto e che la nostra fortuna è quella di poter attingere a un patrimonio infinito di parole, da usare al momento giusto, scegliendo la sfumatura che più ci piace. Poi senti gli strafalcioni quotidiani e ti viene l'amarezza. E se lo fai notare sei una maestrina, se non lo fai notare assisti complice e silente al disfacimento culturale imperante. Secondo me andrebbe detto, in modo carino, ma andrebbe fatto. Un po' come la rucola incastrata tra i denti mentre indossi il più bello dei tuoi abiti (ma anche il più brutto), ecchecavolo, se non me lo dici, è cattiveria!
Eppure, quanta sciatteria. Si affronta in modo approssimativo tutto quanto, le amicizie sono senza accenti, il lavoro è senza accenti, il rapporto con la famiglia, in un negozio, dal parrucchiere.
La mancanza degli accenti mi snerva e mi rende triste.
Ma soprattutto mi rende cattiva.
Non si tratta di prendere in modo serioso tuto quanto, ma in modo educato, e corretto. Mettere gli accenti al loro posto, è così, non si dovrebbe neanche discutere. Poi ridiamo e scherziamo, arrabbiamoci e litighiamo, ma questo non c'entra con dire e fare le cose in modo giusto, o quantomeno, non dannoso. E invece.
E invece le amicizie sono tirate via alla stregua di èdile/edìle, perché alle volte si pensa che sia sufficiente un like per far sentire l'affetto e la vicinanza, o frasi fatte buttate lì a casaccio, o che non sia poi così grave dire "certo ci vediamo domani" e poi sparire. Avrà capito che avevo altro da fare, per poi sperticarsi in inutili balle giustificative. Tanto, che cambia? Cambia che all'ennesima mancanza di accento decido di non avere più nulla da spartire con i maleducati, faciloni e approssimativi, o semplicmente decido di trattarli per quello che sono, senza accento. Questo cambia.
Se vai dal parrucchiere e ti sbagliano la tinta, beh va beh se non ti piaci torni poi la prossima settimana: se non mi piaccio? no, non è così, è che basterebbe ammettere che forse qualcosa è andato storto, per tua ignoranza e sciatteria, e fino alla fine non metti l'accento perché sei inetto e incapace di scusarti.
Manca di accento anche chi intorno a me si sente un capetto arrivato, senza cultura, senza argomenti, senza arte nè parte, con una faccia lombrosianamente non accettabile eppure, eccoli qua, guadagnano tre volte me, e si armano del più bieco maschilismo per farmi tacere.
Manca di accento anche chi pensa che tradire sistematicamente la propria compagna sia una sciocchezza, e risponde "ma io la amo" perché allora lì, davvero, non ha capito niente della lingua italiana.
E potrei andare avanti all'infinito.
O provare a metterceli io questi accenti e a toglierli dove non servono più.